Ho sentito dire che non sei TU a scegliere un libro ma è il libro che sceglie TE…
…non si sa bene come né perché però accade qualcosa…e dentro di te lo riconosci!
Hai bisogno di lui! 🙂
Un pomeriggio, senza neanche sapere come, girando su Internet ho scoperto questo libro.
Dentro di me qualcosa urlava “voglio saperne di più!”, ma le informazioni erano frammentarie; non sapevo di cosa trattasse, nessuna traccia di trama o recensioni…
Conoscevo solo il nome dell’autore Giuseppe Garretto, nato nel 1896 e morto nel 1977 (QUI qualche altra notizia).
Il libro è stato pubblicato nell’ Ottobre del 1946 a circa cinque mesi dalla nascita della Repubblica Italiana…
E’ stato tradotto in 10 lingue e, lo stesso anno della sua pubblicazione, era stato candidato al Premio Foemina ma subito dopo ritirato dal concorso dal governo francese che non voleva inimicarsi Mussolini premiando un così noto nemico del Duce!
L’autore è, infatti, fortemente anti-fascista!
Dovevo leggerlo! ❤
Ho deciso di pubblicare la trama principale con degli spezzoni tratti dal romanzo.
Le parole che seguono sono purtroppo, in alcuni casi, ancora molto attuali.
La storia è ambientata in Sicilia in un momento di transizione storica…
Tra i protagonisti vi è Pepè, ex attendente a casa di un colonnello della Prima Guerra Mondiale che gli ha dato istruzione e conoscenza.
Pepè torna a casa, rivede i genitori, per tutti Zio Marco e Zia Vanna, portando con sé la sua nuova visione del mondo!
Nel suo paese i contadini vivono come bestie dentro a dei CATODI ( “luridi tuguri, privi di aria e luce”-> QUI)…lui vuole cambiare il loro destino infame dando loro la terra che gli era stata promessa…
(non vi sono immagini specifiche dei catodi ma mi immagino qualcosa del genere…)
I contadini sono stati traditi! Erano state promesse loro delle terre, se avessero combattuto per difendere la Patria…ma sono tornati a casa sporchi, a pezzi e più miserabili di prima (chi è riuscito a tornare, è chiaro!).
Come Mezzafaccia: “…così chiamato perché era tornato dal fronte con un viso che non era più un viso umano […] la mascella inferiore gli mancava quasi per intiero: solo la parte sinistra gliene restava un pezzo, a cui tendeva la pelle che veniva su dal collo. Alla mascella superiore non aveva più che tre denti, che uscivano in fuori, sempre scoperti, poiché non c’era più un labbro. Non aveva naso, né ciglia, né sopracciglia. Intorno agli occhi era tutto rosso vivo, come di sangue […] non parlava più ma emetteva dei suoni gutturali, un latrato […]”
Pepè vuole che la sua famiglia abbia un pezzo di terra da coltivare…la terra che era stata promessa a tutti! Diceva: “La terra è di chi la coltiva!” ma nessuno lo ascoltava…
“Quando vi vedo fare delle processioni con bandiere e gridare – Vogliamo la terra, vogliamo la terra!- e poi ritornare tutti soddisfatti nelle vostre tane […] mi viene la voglia di bastonarvi. V’aspettate proprio che i signori vi diano la terra così, per farvi piacere […] quando i francesi vollero la terra, se la presero e ammazzarono i padroni e poi ammazzarono anche il re che gliela voleva togliere.”
Queste parole dette con impeto accesero le anime sofferenti di quei corpi affranti…inizia così la svolta!
Tutto è circondato dalla realtà siciliana del periodo che un po’ tutti conosciamo grazie al Verismo di Giovanni Verga e alla visione umoristica e razionale di Luigi Pirandello (VISITA LA CASA DI PIRANDELLO QUI), per certi aspetti ancora molto simile alla nostra realtà siciliana.
“Il servizio di nettezza urbana esiste nel bilancio del Comune. Ed esiste, in vero, anche l’appaltatore, ma questi si preoccupa solo delle strade principali. Per le altre c’è la pioggia quando il buon Dio la manda abbondante. L’importante per l’appaltatore è tenere pulite le strade dei signori.”
” Al tempo della mietitura, i contadini hanno diritto, secondo l’abitudine, a mezzo litro di vino a testa e, quando si coricano in campagna, alla minestra della sera. Evidentemente nel prezzo se ne tiene conto. Però è una consuetudine che non fa legge, e alcuni padroni non danno né vino, né minestra. La legge è la convenienza del padrone: il contadino non ha che da accettare.”
“Luoli […] abitava il quartiere della Matrice […] durante la guerra si era sposato, perché così gli aveva consigliato il padre della sua fidanzata. La ragazza , certamente, lo avrebbe aspettato, anche se la guerra fosse durata dieci anni. Ma la guerra è guerra, non si sa mai. […] la ragazza difficilmente avrebbe trovato un altro partito, fidanzata così com’era da tanto tempo […] – Se tu la sposi, capisci? Se la disgrazia arriva, capisci? Mia figlia avrà la pensione – […] e da quell’anno un figlio ad ogni annata […] Del resto, quel è il compito della moglie di un contadino? Preparare la minestra, rattoppare gli abiti e fare figli.”
Gli ex- combattenti hanno deciso di occupare le terre!
-Voi ci farete ammazzare tutti! […] Ma poi, dopo tutto, che rischiavano? La loro vita? Ma cos’era la loro vita? Venivano al mondo, soffrivano e poi scomparivano senza che nessuno se ne accorgesse. Quando il figlio d’un contadino del catodio muore […] i fratellini e le sorelline soffrono per il lamentìo della mamma, ma segretamente pensano ai quattro spaghetti che i vicini porteranno la sera […] Per la povera gente, morire è una liberazione. Che rischiavano dunque? Che avrebbero perso, perdendo?
Le donne dei contadini non vogliono restare a casa perché “se resta vedova, la sua esistenza diventa una morte lenta: nessuno avrà pietà di lei.”
Mi viene in mente l’opera pittorica di Giuseppe Pellizza da Volpedo “il Quarto Stato”, ed effettivamente mentre scorro le pagine del libro, ricche di descrizioni e azione, tutto è lì, vivo davanti ai miei occhi…la realtà del passato torna a farsi forza!
“Esse erano là, accanto ai loro uomini, le donne, le vesti discinte, i capelli in disordine, e, nei pallidi visi scarni, gli occhi enormemente dilatati come di folli. Alcune avevano in braccio i bimbi che dormivano. Se qualche piccolo , svegliandosi, strillava, la mamma, pronta,tirava una floscia mammella e gli cacciava in bocca il capezzolo. Ed avanzavano anch’esse nel chiarore mattutino, in silenzio e risolute come gli altri.”
Cantano…proprio questa!
“Non tutti sapevano le parole ma tutti volevano cantare”
Ottengono un pezzo di carta con su scritto che la terra è loro ma Pepé “malgrado il nero su bianco, egli non dorme tranquillo. I signori sono nati per imbrogliare il contadino […] per la povera gente non c’è giustizia: i giudici sono signori e lupo non mangia lupo”
Tuttavia si alza il sole, la terra è finalmente loro e si inizia a lavorare e a discutere su come gestirla, se dividerla o unirsi!
C’è chi vuole un pezzetto tutto per sé, come lo zio Marco che lo desidera da tutta la vita e c’è poi chi preferisce non distruggere l’unione raggiunta come l’instancabile Pepé il quale sostiene che ” i ricchi sono uniti e perciò comandano, mentre i poveri sono divisi e finché sono divisi la loro voce non conta niente. Ma se siamo uniti, debbono ascoltarci e se resteremo uniti, saremo noi che comanderemo”
Mi chiesi come mai un libro così ricco di ideali di unione, di forza, non venisse nemmeno preso in considerazione a scuola…non ne avevo mai sentito parlare…poi capii.
L’autore attacca il Governo, Giovanni Giolitti…
…più volte Presidente del Consiglio…
“al potere c’era Giolitti […] per il villano ci vuole il bastone, ecco. E Giolitti non contava le bastonate che si distribuivano ai contadini, ma contava solamente i voti che gli apportavano i deputati siciliani. Questi erano tutti signori […] e concludevano subito il contratto – A voi Eccellenza , i voti, a noi la Sicilia. […] con lui i signori erano sicuri di poter schiacciare quei miserabili che avevano osato alzar la testa e credersi uguali a loro”
Attacca l’Unione d’Italia.
“la sventurata Sicilia non ha cambiato bandiera: dal giorno che fu unita al regno d’Italia, essa divenne e continua ad essere una colonia. Il governo esige più tasse che può ma non spende niente per la Sicilia: né scuole, né strade, né acqua, né fognature; qualche chilometro di ferrovia, qualche chilometro di linea telegrafica ed è tutto […] il governo la sfrutta e i signori rubano […] poliziotti e tasse , ecco il viso del governo. Soprusi e ruberie, ecco il viso dei signori.”
Mi sembra di essere lì…ma il tempo passa e le cose cambiano forse migliorano…io sono un’instancabile ottimista ma il passo successivo mi lascia senza parole…
” i contadini pensano a emigrare…l’America, la Tunisia, l’Australia […] là forse lo sfruttamento sarà meno inumano [..] e partono, gli infelici…”
– Tutto questo emigrare diventa per lo Stato una FORTUNATA VALVOLA DI SFOGO! – Questo era quello che ripeteva sempre la mia professoressa di Storia…questo era quello che ero costretta a ripetere “a pappagallo” se volevo il mio bel voto in Storia…se volevo “fare bella figura” agli esami di Stato…ma davanti a tutto questo “emigrare”, evidentemente c’è qualcosa di fondo in tutto il sistema che non va…
Dovremmo imparare dal passato…e invece…
“La Sicilia, la perla del Mediterraneo, che la natura volle oltre ogni dire bella e che i poeti cantano ancora terra dei fiori e dell’amore, è diventata una desolata terra di dolore.”
I contadini vengono nuovamente traditi e attaccati.
I signori tolgono loro la terra…vogliono uccidere Pepé!
La Zia Vanna troverà un modo per farlo fuggire ma “Quando una cosa è decisa, è decisa!”
Pepé saluta l’amico fraterno Cola…
“Ci si rialza, chi? Noi? […] Si, noi! Poco fa ti parlavo della ruota che gira e che ci presenterà ancora una volta il momento favorevole. Però […] dobbiamo essere noi a spingerla! A spingerla senza mai stancarci […] vedi il papà: egli è vecchio e forse quando va a seminare si domanda se ci sarà quando si trebbierà. Ma semina e lavora affinché il grano venga su bello […] bisogna fare tutto il necessario perché il seme fruttifichi, senza preoccuparsi di chi raccoglierà. Se saremo noi, tanto meglio. Se noi non avremo questa fortuna, saranno i nostri figli. Comprendi, Cola?”
Comprendo…comprendo…
–
Spero vi sia piaciuto!
Al prossimo post! 😉 Bye ! 🙂